Ma che fretta c’era ?!
La notizia ti coglie impreparato. Un tuo collaboratore ti chiede un breve incontro, senza chiarirne le ragioni. Di norma succede in una giornata in cui tutto sembra già andare storto, molti casini, mille fronti aperti: “Cosa vorrà proprio oggi?? Ci sarà qualche problema? Scommettiamo che vuole un aumento?” – pensi, con un lieve moto di irritazione.
Poi, lentamente, durante l’incontro, si profila un fosco scenario, che va oltre ogni tua più nera aspettativa: DIMISSIONI.
Il “fedifrago” ha infatti ricevuto un’altra proposta, e mentre l’ascolti avverti un senso di abbandono, un colpo al cuore, una sorta di remake della fine del tuo primo amore.
Tipicamente, la nuova proposta ha due caratteristiche ben precise:
- l’opportunità non è stata affatto ricercata, ma è giunta quasi inaspettata, come una sorta di manna dal cielo, un regalo divino.
- e’ talmente allettante da non poter essere rifiutata: retribuzione elevata, ambiente di lavoro splendido, incredibili benefits, impensabili strumenti di flessibilità.. e chi più ne ha ne metta.
Nei giorni successivi, si assiste ad una sequenza standard di reazioni ed emozioni:
- Dapprima si è molto scoraggiati e delusi, una sorta di “Tu quoque fili mi”.
- In seconda battuta, ci si arrabbia un po’. A volte ci si arrabbia di più, e questo accade quando si è consapevoli del fatto che sostituire la persona costerà almeno 6 mensilità (tra recruiting, selezione, formazione, perdita di know how e maggiore possibilità di errore).
- Poi subentra la voglia di rivalsa: si tenta di trattenere il “fedifrago”, e si fa un’offerta al rilancio che raramente servirà allo scopo, perché la decisione è già stata presa e spesso si fonda su di una valutazione che abbraccia molti aspetti.
- Gradualmente si smaltisce la delusione e si elabora il distacco.
- Infine, ci si mette alla ricerca un nuovo collaboratore, con l’atteggiamento “Ti faccio vedere io, troverò qualcuno pure meglio”.
Spesso, però, presi dalla necessità operativa di inserire qualcuno, si dedica troppo poco tempo ad indagare le ragioni che spingono la persona a dimettersi.
“Perché se ne va? Perché DAVVERO se ne va? Cosa non ho fatto? Cosa si aspettava che l’azienda non gli ha dato?” sono domande strategiche, da porsi.
Soprattutto, in realtà, servirebbe porle a chi lascia, ma non davanti alla macchinetta del caffè o sulle scale: servirebbe un momento strutturato in cui fare domande ben precise, di fatto un’intervista di uscita, per far emergere le vere ragioni della scelta, che rappresentano per l’azienda informazioni preziose.
Perché, in fondo, vale la pena di fare una considerazione ovvia ma pur sempre vera: le persone difficilmente vanno via quando hanno quello che vogliono.
Considerazione ovvia, sì, ma non semplice da sbrogliare, in quanto le cause che determinano un problema di dimissioni possono essere molteplici: no flessibilità oraria e modalità di lavoro agile, retribuzioni sotto il livello di mercato, zero benefit, modelli di leadership non adeguati, mancanza di un piano di crescita e così via.
L’intervista di uscita è importante per indagare queste cause: significa raccogliere materiale sul quale riflettere e lavorare, per arginare il fenomeno delle dimissioni che per alcune aziende sta diventando un problema importante.
La prima buona notizia è che l’intervista di uscita non è troppo difficile da implementare; la seconda buona notizia, che tante sono gli strumenti e le iniziative che si possono mettere in campo per valorizzare, e quindi trattenere, i collaboratori…anche i “fedifraghi”!